venerdì 27 ottobre 2017
Il PIR conviene con il "fai da te" sotto l'ausilio di un consulente finanziario autonomo
Il PIR - Piano di risparmio individuale - rappresenta una nuova e recente modalità d’investimento finanziario, stabilita per legge, che nel rispetto di alcuni requisiti, vincoli e limiti permette di conseguire l’esenzione d’imposta sui frutti conseguiti (e di successione). Il principale vantaggio è quindi quello fiscale. Il PIR è destinato a persone fisiche residenti in Italia (requisito soggettivo); gli strumenti finanziari del PIR devono essere detenuti per almeno cinque anni (requisito temporale); al PIR può essere destinato max 30.000€ per anno con limite complessivo di max 150.000€ (limiti all’entità dell’investimento); il PIR non può essere per più del 10% in strumenti finanziari dello stesso emittente o in liquidità (limite alla concentrazione); ogni anno, per almeno 2/3 dell’anno, il 70% almeno del PIR deve essere in strumenti finanziari di imprese italiane o europee (e SEE) con stabile organizzazione in Italia ed per 21% almeno solo in strumenti finanziari di imprese diverse da quelle quotate sul FTSE MIB o su indici equivalenti esteri (vincoli di investimento).
Accedere ad un PIR gestito (ad esempio da una Banca) significa immediatamente perdere il valore del vantaggio fiscale (peraltro aleatorio stante ad esempio il requisito temporale) o buona parte di esso a causa dei costi di gestione del prodotto. Farsi in Pir da soli, ovvero con l’aiuto di un consulente finanziario autonomo, può essere una valida soluzione a costi ridotti. E’ bene però tener presente che non essendo disponibili i mini-bond per gli investitori retail inevitabilmente il PIR dovrà avere un’esposizione di almeno il 21% in titoli azionari di società europee di piccola e media capitalizzazione mentre per il restante 79% potrà tranquillamente essere rappresentato da corporate bond e titoli di stato di buon rating.
martedì 3 ottobre 2017
Opinione di DIAWONDS® circa una previsione della DIRETTIVA EUROPEA 2014/65/UE (MiFID II).
L’ Art. 24, par. 7, lett. a), della MiFID II, prevede che: ”7. Quando l’impresa di investimento informa il cliente che la consulenza in materia di investimenti è fornita su base indipendente, essa: a) valuta una congrua gamma di strumenti finanziari disponibili sul mercato, che devono essere sufficientemente diversificati in termini di tipologia ed emittenti o fornitori di prodotti da garantire che gli obiettivi di investimento del cliente siano opportunamente soddisfatti e non devono essere limitati agli strumenti finanziari emessi o forniti i) dall’impresa di investimento stessa o da entità che hanno con essa stretti legami o ii) da altre entità che hanno con l’impresa di investimento stretti legami o rapporti legali o economici - come un rapporto contrattuale - tali da comportare il rischio di compromettere l’indipendenza della consulenza prestata;”
Tale previsione è stata integrata
nel testo del Documento per la consultazione MODIFICHE AL LIBRO VIII DEL
REGOLAMENTO INTERMEDIARI IN MATERIA DI CONSULENTI FINANZIARI del 28 Luglio 2017,
da poco terminata, come segue: “Art. 109-bis.1 (Regole generali di
comportamento) 1. (…) b) i consulenti finanziari autonomi e le società di
consulenza finanziaria valutano una congrua gamma di strumenti finanziari
disponibili sul mercato, che devono essere sufficientemente diversificati in
termini di tipologia ed emittenti o fornitori di prodotti in modo tale da garantire
che gli obiettivi di investimento del cliente siano opportunamente soddisfatti;”
Orbene, è opinione di DIAWONDS® che qualsiasi investimento in strumenti
finanziari quotati è soggetto ad una componente di rischio non diversificabile ovvero
il rischio sistematico (si veda al proposito anche il glossario di BorsaItaliana). Per questo motivo non può esistere alcuna gamma di strumenti
finanziari disponibili sul mercato sufficientemente diversificati in termini di
tipologia ed emittenti o fornitori di prodotti tale da “garantire” che gli
obiettivi di investimento di un cliente possano essere opportunamente
soddisfatti. Si aggiunga che l’art. 18-bis del Tuf, come modificato dal art. 2,
co. 12, del d.lgs. 129/2017 sulla scorta di quanto previsto dall’art. 3, co. 1,
lett. b della MiFIDII, ha circoscritto la prestazione della consulenza in
materia di investimenti, da parte dei consulenti finanziari autonomi e delle
società di consulenza finanziaria, ai valori mobiliari ed alle quote di
organismi di investimento collettivo; ne deriva che dalla gamma di strumenti
finanziari disponibili sul mercato che detti soggetti possono valutare sono
esclusi gli strumenti del mercato monetario come i buoni del tesoro, i certificati
di deposito e le carte commerciali, cui è normalmente attribuito un livello di
rischiosità estremamente contenuto se non, in taluni casi, pressoché assente. Come
può quindi definirsi “congrua” (ove congruo può intendersi, come dal vocabolarioTreccani.it, “corrispondente a determinate esigenze”) una gamma di strumenti
finanziari che escluda a priori gli strumenti del mercato monetario (ma non le quote
di organismi di investimento collettivo che investono esclusivamente in
strumenti del mercato monetario) e come si può di conseguenza “garantire"
che gli obiettivi di investimento del cliente siano opportunamente soddisfatti?
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